02-09-2011, considerazioni dell’ASSIPA sulla situazione della sanità accreditata in Calabria nel
settore della diagnostica di laboratorio.
A seguito di diverse richieste di intervento, tendenti ad esprimere il punto di vista dell’ASSIPA sulle
questioni che ultimamente hanno avuto risonanza mediatica e che riguardano le strutture
accreditate, in particolare quelle relative alla diagnostica di laboratorio, nell’ambito della generale
situazione della sanità calabrese, si espone quanto segue:
L’ASSIPA viene costituita a Locri nel dicembre del 2010 da un gruppo di laboratoristi esasperati di
assistere al reiterato disinteresse verso le piccole e medie strutture sanitarie calabresi accreditate,
dimostrato nei fatti dalle precedenti associazioni di categoria a cui avevano per lungo tempo
affidato invano la loro rappresentanza e tutela. In particolare, l’esigenza forte di costituirsi in una
nuova e attivissima Associazione di Categoria è scaturita a seguito dell’ormai evidente progetto di
monopolizzazione del settore della diagnostica che, con la scusa del presunto ma indimostrato
beneficio dell’accorpamento dei centri privati accreditati in pochi megalaboratori provinciali, intende
ridurre e declassare la maggior parte di laboratori a meri punti prelievo.
Partendo da ciò, benché di giovanissima costituzione, l’ASSIPA si sta già occupando in sede
regionale di tutelare le piccole e medie strutture (costituenti la maggioranza delle strutture presenti
sul territorio regionale) che sono sempre state lasciate ai margini delle questioni trattate e che,
specie ora, secondo le ultime incalzanti pressioni delle altre associazioni che si arrampicano sugli
specchi con artificiosi riferimenti e motivazioni legislative nazionali, si vorrebbe far definitivamente
scomparire mediante la più volte ventilata proposta di rete obbligatoria tra privati al di sotto di un
certo numero di prestazioni annue.
Ebbene, si teorizza ormai diffusamente su tale ipotesi, con il più o meno consapevole beneplacito
dell’amministrazione regionale che anziché curarsi dell’ottimizzazione delle risorse pubbliche, fonte
di voragine di sprechi e di spesa spesso improduttiva, vorrebbe ridurre un patrimonio di efficienti
servizi privati accreditati a pochi “esamifici” lontani dai cittadini. Tutto ciò senza che ne sia stato
dimostrato ad oggi alcun reale vantaggio economico per la Regione stessa; esempio ne sia la
questione ancora aperta sulle tariffe per l’assenza di un serio studio sui costi standard di
produzione delle prestazioni e per cui non vi sono idonei parametri di riferimento per eventuali
economie di scala derivanti dai maxi accentramenti anzi, come dimostrato dall’ultimo rapporto
CEIS, il numero di strutture erogatrici non condiziona in alcun modo l’aumento della spesa
sanitaria.
Non risulta nemmeno dimostrabile alcun sicuro miglioramento della qualità globale delle
prestazioni, tanto più che essa deriva essenzialmente e prioritariamente dall’applicazione
attuazione e monitoraggio di percorsi e protocolli di lavoro che assicurano e mantengono nel
tempo elevati standard qualitativi, a prescindere dal numero delle prestazioni rese. Peraltro,
contrariamente a quanto si possa ritenere, il risultato di un esame non è un prodotto industriale,
essendo piuttosto un mix di capacità organizzativa, tecnica e strumentale associata all’esperienza
professionale medica e specialistica (pressoché trentennale in quasi tutte le strutture che rischiano
ora il declassamento) e al contatto diretto con il paziente che non necessità solo di numeri, ma
che, come finalmente previsto anche dalle ultime normative regionali in tema di autorizzazione ed
accreditamento delle strutture sanitarie in Calabria (L.R. n°24/2008), può ed ha il diritto di ricevere
da un sanitario del laboratorio un commento-traduzione ed interpretazione dei dati analitici in
grado di offrire tempestivamente un minimo orientamento diagnostico al momento del ritiro dei
risultati.
Il bagaglio d’esperienza e la qualità che le piccole e medie strutture hanno acquisito e dimostrato
sul campo da decenni, a partire da epoche in cui il sistema pubblico non era sempre in grado di
assicurare la flessibilità, duttilità organizzativa ed amministrativo-finanziaria necessarie a produrre
nuove e irrinunciabili prestazioni (un esempio su tutte il monitoraggio efficace degli ormoni della
gravidanza, quelli tiroidei nei pazienti in terapia farmacologica, il PSA etc. nei primi anni 90), rischia
di andare perso insieme a centinaia di posti di lavoro e senza che ciò produca alcun beneficio per i
pazienti o per le casse della Regione.
La questione Sanità in termini di spesa e di qualità in Calabria è in realtà un’altra e nasce da una
serie di distorsioni normative e di ostinati atteggiamenti amministrativi che più che individuare linee
di intervento premiali per chi opera competentemente e capillarmente, più che rendere trasparente
ed efficiente il sistema stesso sembra diretta a mantenere e/o favorire ambiti di potere economico
storicamente consolidati a discapito dei più.
La disparità di tariffe nasce nel momento in cui la Regione ha indicato più volte come tariffario di
riferimento quello cosiddetto “Bindi”. Si tratta delle tariffe di cui al D.M. Sanità 12.9.2006 che reitera
il D.M. Sanità del 22.7.1996. Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1205/2010, conforme ad
analoga pronuncia adottata con n. 1839 nel 2001 nei confronti dell’allora D.M. Sanità 22.7.1996,
ha ribadito la illegittimità delle tariffe disciplinate nel predetto decreto, sul presupposto che si tratti
di tariffe per nulla appropriate alla realtà di mercato in cui i laboratori di analisi operano, giacché
individuate senza che a monte fosse stata espletata una valida e congrua attività istruttoria e/o
indagine di mercato tra gli operatori del settore.
Poiché tale determinazione regionale è illegittima, in quanto manifestamente elusiva dell’effetto conformativo delle pronunce del Consiglio di Stato
nn. 1839/2001 e 1205/2010 sono stati prodotti diversi ricorsi al Tar dalle varie associazioni a
seguito dei quali, vista anche la soccombenza della Regione Calabria davanti al Consiglio di Stato
tutte le Asp, non hanno ritenuto di dover applicare tali tariffe mentre la commissariata Asl 9 di
Locri, ha continuato ad applicarle in maniera zelante essendo esse di fatto quelle che la regione
continuava ad indicare nei suoi provvedimenti legislativi.
Non v’è chi non veda l’anomalia e la inopportunità di un tale sistema di cose, almeno per due ordini
di motivi:
Il primo è che la Regione riproponga ostinatamente un tariffario più volte bocciato dal Consiglio di
stato, per ultimo nel 2010, in spregio a qualsivoglia pronuncia della giustizia amministrativa e non
si comprende se si tratta di incompetenza o disattenzione degli organi amministrativi preposti o di
una deliberata volontà di arrecare disagi alle strutture private accreditate imponendo una tariffa
ingiusta – specie se confrontata con l’esagerata sproporzione del costo globale di produzione delle
prestazioni all’interno delle strutture pubbliche calabresi – ed insufficiente in molti casi a coprire i
costi di produzione; obbligandole a instaurare ricorsi amministrativi dispendiosi in termini di tempo
e di denaro, sicché quelli con “spalle” meno forti rischiano nel frattempo, anche a causa dei cronici
ritardi nei pagamenti delle spettanze, il fallimento pure per l’iniqua remunerazione tariffaria
imposta.
L’altro è la pedissequa anche se doverosa interpretazione dei funzionari dell’Asl 9 di Locri che
hanno ritenuto, nonostante la conoscenza delle sentenze del Consiglio di Stato, di dover
comunque riferirsi alle tariffe indicate dalle norme regionali pro tempore, senza che la regione
stessa, forse anche per l’assenza di formali segnalazioni di protesta dei presidenti delle varie
associazioni di categoria ben a conoscenza dei fatti perché informati dai loro delegati di zona,
avesse attivato le procedure di indirizzo e controllo sulle tariffe da adottare uniformemente sul
territorio regionale.
Ma le anomalie non riguardano solo le differenze di tariffario tra Asp diverse quanto soprattutto i
discutibili ed incomprensibili criteri adottati per la ripartizione del budget alle singole strutture.
Infatti, da quando è stato introdotto il principio che la sanità poteva giovarsi dello strumento del
budget, le ingiustizie sui più deboli hanno iniziato ad essere formalizzate. Usando il budget come
strumento unico di contenimento e repressione della spesa sanitaria anziché di seria
programmazione e monitoraggio puntuale della stessa, da utilizzare sia nel versante pubblico che
in quello privato, nonostante che la legge fin dal 1992 avesse sancito definitivamente la libertà di
scelta della struttura a cui il cittadino poteva rivolgersi per indagini medico diagnostiche e per la
terapia, mettendo sullo stesso piano il pubblico ed il privato convenzionato, la programmazione
previsionale (piano delle prestazioni) che ogni anno le ASL dovevano presentare alla Regione per
l’approvazione è stata sempre, inspiegabilmente molto sottostimata, con la conseguenza che gli
accreditati sono stati costretti ad erogare fino al 40-50 % in più delle prestazioni riconosciute e
liquidabili. Non solo, ma ancora oggi, da parte della Regione non sono stati indicati dei concreti
criteri equi, proporzionati e trasparenti per la determinazione ed assegnazione alle singole strutture
dei budget. Ovvero, le Asp hanno proceduto in genere con l’assegnazione dei budget tenendo
conto di quella che era la media storica di fatturato per ogni struttura, con ciò producendo
l’inevitabile conseguenza, da un lato, di garantire ad ognuno ciò che aveva consolidato nel tempo,
cioè quando non c’erano limiti di spesa per i laboratori e tutto quello che si fatturava veniva pagato
e, dall’altro, però, di impedire ad una struttura, che per sopraggiunte esigenze normative avesse
dovuto nel frattempo effettuare investimenti, riqualificando la sua capacità produttiva, di migliorare
il suo fatturato, di fatto mortificandone l’iniziativa e la capacità imprenditoriale e cristallizzando le
potenzialità operative in contrapposizione con gli oneri economici imposti dai nuovi requisiti.
Nell’ambito di questa situazione, a un certo punto, nel 2004, la Regione Calabria ha aggiunto un
altro tipo di contratto, il cd. Contratto multilaterale tra strutture accreditate ed Asl che, in effetti pare
venne attuato solo nell’ASL di Locri dal 2004 al 2007 (e nell’ASL di Palmi solo per un anno) e che
per un perverso meccanismo di budget complessivamente assegnato solo al gruppo delle strutture
private, (mentre per quelle pubbliche era prevista l’assegnazione di una somma a sé stante) senza
adeguata e tempestiva informazione sull’andamento delle prestazioni mese per mese erogate, ha
prodotto esagerati sforamenti non rimborsabili. Un sistema evidentemente lesivo e dannoso per i
privati che hanno subito gravi perdite economiche avendo dovuto sopperire comunque ai costi per
le prestazioni non riconosciute perché in esubero nel proprio comparto.
Stranamente, l’Asl di Palmi che nel 2004 aveva optato per tale tipo di contratto ha, però, l’anno
successivo, su indicazione dell’allora unica associazione di categoria presente in Calabria,
cambiato sistema perché ritenuto palesemente lesivo per le strutture. Gli allora dirigenti
dell’Anisap, tra l’altro con sede regionale proprio nell’ex Asl di Palmi, hanno atteso per ben quattro
anni prima di interessarsi seriamente dello stesso problema per gli associati ricadenti nell’ASL di
Locri.
È stato così che a fine 2007 in occasione della stipula dei contratti “relativi allo stesso anno”,
grazie all’interessamento di qualche collega e ad altri con cui poi a fine 2010 è stata costituita
l’ASSIPA (passando prima per un’altra associazione la Federlab che prometteva “serio”
interessamento) si è arrivati alla firma di una richiesta congiunta di svincolo dal multilaterale,
ripartendo dal 2008 con i contratti per singola struttura. Peraltro, disparità di trattamento è
avvenuta pure sulla trattenuta del 20% imposta dalla finanziaria del 2007 – tuttora applicata – che
nell’ex Asl 9 di Locri è stata decurtata dal budget assegnato alle singole strutture (così, di fatto, un
contratto sottoscritto per 100 diveniva in effetti di 80), mentre in altre ASL della Regione veniva
consentita una sovraproduzione di prestazioni per compensare proprio quel 20%, così da
mantenere reale il valore nominale del budget sottoscritto che non subiva nessuna decurtazione.
Ma il paradosso per le piccole e medie strutture continua ancora perché oltre a previsioni di spesa
(e quindi richiesta di fondi da parte dell’ASL) insufficienti a soddisfare l’effettiva domanda di
prestazioni nel comparto privato, alle stesse sono stati ripartiti budget senza che fosse mai stato
indicato o fissato a monte un criterio trasparente, oggettivamente apprezzabile da tutti o condiviso
o comunque proporzionale al costo dei requisiti minimi imposti per legge alle strutture in funzione
della tipologia classificativa dello specifico laboratorio. Ciò assecondato anche dalla miopia delle
associazioni di categoria dell’epoca che hanno dimostrato di non perseguire la tutela di tutti gli
associati, bensì di pochi privilegiati, in genere grosse strutture.
Riguardo alla questione delle prestazioni liquidate in varie Asp senza che i titolari fossero in
possesso dei requisiti previsti, per quel che ci consta non si hanno notizie precise su chi, come e
quanto. C’è però da dire che nell’ex Asl 9 di Locri, da tempo sono state avviate procedure
informatizzate per il controllo dei tracciati record, dei tabulati e delle ricette digitalizzate che sono
alla base della fatturazione mensile, per garantire al meglio il controllo completo e preciso
dell’erogazione delle prestazioni anche ai fini epidemiologici. Proprio sulla questione della puntuale
ed efficiente gestione e monitoraggio dei dati della spesa sanitaria, l’ASSIPA, in una delle tante
riunioni con la struttura sub commissariale, per contribuire alla risoluzione dell’annosa
problematica ha suggerito al Sub Commissario di disporre con una circolare o altro mezzo idoneo
che tutti i soggetti accreditati spedissero i tracciati record regionali C1 e C2 mensili per e-mail oltre
che alla propria Asp anche all’indirizzo di un ufficio che lo stesso Gen. Pezzi avesse voluto
individuare e rendere noto. Di tale suggerimento, benché prontamente apprezzato da tutti i
convenuti presenti, poiché al costo di un semplice “click” si sarebbe potuta risolvere la perenne ed
ingiustificata carenza di dati presso gli uffici regionali di monitoraggio, ad oggi dopo alcuni mesi e
dopo richiesta scritta di informazioni in merito, non se ne sa ancora niente.
I ricorsi al Tar proposti sia dalle associazioni che dagli associati stessi sono numerosi e con
cadenza quasi annuale (in concomitanza con la produzione degli atti e dei contratti regionali per la
nuova annualità) e riguardano principalmente il rigetto o modifica di atti imposti dalla Regione,
come nel caso delle tariffe cosiddette “Bindi”, dello schema tipo di contratto che prevedeva
clausole di salvaguardia altamente vessatorie – poi in parte eliminate con il successivo decreto
correttivo – la questione del ticket che era stato incluso nel budget, nonchè i criteri (aleatoriamente
inconsistenti e comunque non concordati o condivisi) di assegnazione dei budget alle singole
strutture accreditate.
Il nomenclatore tariffario provvisorio è stato pubblicato con decreto del Commissario ad Acta per il
piano di rientro n° 84 del 04-08-2011 dopo le varie riunioni con le associazioni di categoria che
partendo dal 25-02-2011 sono state a discutere con la struttura sub commissariale diretta dal Gen.
Pezzi in varie occasioni fino al 03-08-2011, data nella quale dopo quasi 5 ore di discussione
l’Anisap e l’Aiop hanno deciso, pur in minoranza, di firmare il protocollo d’intesa con la Regione per
l’approvazione del tariffario provvisorio, nonostante la maggioranza degli accreditati rappresentati
da ASSIPA, Federlab, Asa e SBV non ha voluto sottostare alla firma.
Il dissenso delle varie associazioni sul punto nasce da una serie di motivi tutti espressi nelle
dichiarazioni messe a verbale quel giorno e riguardanti in particolare: lo sconto del 20% sulle
tariffe, la griglia delle prestazioni all’interno della stessa branca diagnostica etc. In aggiunta a tutto
ciò, l’ASSIPA ha soprattutto evidenziato la mancanza di una una sufficiente definizione delle tariffe
per le 13 principali prestazioni riguardanti il settore dei “laboratori di base”, tant’è che pur
ritenendosi disponibile provvisoriamente ad accettare le tariffe proposte dalla Regione per i settori
specialistici, ha invece ritenuto essenziale mantenere ferma la sua posizione sulla inadeguatezza
di quelle relative alle prestazioni previste per i laboratori di base, irreparabilmente penalizzati.
L’ASSIPA ha inoltre ritenuto essenziale, portare sul tavolo della discussione per le tariffe anche la
questione dei criteri di definizione del budget alle singole strutture – da determinarsi
necessariamente a livello regionale e valevoli per tutto il territorio – nonché quella in merito ad una
rete di laboratori privati facoltativa e non obbligatoria, riconosciuta e normata dalla Regione sulla
base di accordi con le associazioni di categoria. E’ evidente infatti che se gli incontri ed i tavoli
tecnici che questa amministrazione regionale ha posto in essere sono diretti a individuare,
pianificare e definire misure e provvedimenti rispetto alla posizione delle strutture accreditate,
nell’ottica di un generale riordino del settore sanitario e della relativa spesa, si evince che la
discussione non possa prescindere dal considerare anche le questioni che riguardano la proposta
di rete di laboratori, i cui potenziali effetti ricadrebbero principalmente sulle strutture medio-piccole
e sulla loro presenza nel territorio ed in rapporto ai criteri in base ai quali viene decisa
l’assegnazione dei singoli budget ad ogni struttura.
Su tutto ciò il 7 aprile 2011 l’ASSIPA ha discusso e protocollato proposte dinnanzi alla Terza
Commissione del Consiglio regionale della Calabria e ne ha depoditato copia nella riunione del 19
maggio con il Sub Commissario Pezzi a Catanzaro. La parte di maggiore rilievo è costituita
certamente dalla proposta relativa ai criteri da utilizzare per l’ottimale impiego dei fondi per la
specialistica di laboratorio, nella ripartizione alle singole strutture, in base alla quale questa
associazione suggeriva quanto segue:
La suddivisione del fondo complessivo delle Asp per la specialistica nella specifica branca in due
frazioni.
– La prima, nella misura non inferiore al 70% del fondo complessivo, da ripartire con budget alle
singole strutture, non suscettibile di abbattimenti, in base ai costi minimi – stimati- necessari al
corretto funzionamento e rapportati alla tipologia di classificazione regionale detenuta. Ad esempio
se un laboratorio di base per poter oggettivamente coprire i costi minimi di funzionamento
necessità di 130 mila euro annui, il budget da assegnare non deve ovviamente essere inferiore a
tale cifra. Allo stesso modo se per ogni laboratorio specializzato annesso a quello di base è
necessario un minimo di 30 mila euro, sarà aggiunta al budget di base questa nuova cifra e così
per ogni altro settore aggiuntivo. Nel caso ad esempio di un laboratorio di base con 2 settori
specializzati il budget minimo da assegnare risulterà 130+30+30 = 190 mila euro.
– La seconda frazione, nella misura non superiore al 30% del fondo complessivo, sarà lasciata
indivisa e disponibile in libera concorrenza tra gli erogatori. Al di sopra della cifra prevista per
questa seconda frazione non sarà corrisposto alcun pagamento, con abbattimento totale ma
percentualmente proporzionale all’incidenza del singolo erogatore nello sforamento, secondo i
criteri già stabiliti nella legge regionale 30 del 2003 (Burc n°12 del 1-7-2004 pag.13219). Resta
inteso che la quota di budget non raggiunto dai singoli andrà a cumularsi con la frazione libera ma
solo per l’anno di riferimento.
Naturalmente una considerazione ulteriore andrà fatta per quelle strutture che per
dimensionamento di personale, nelle singole branche di appartenenza, alla data del 31-12-2010,
sono ben al di sopra del minimo imposto dai requisiti per l’accreditamento. In tali casi per il
mantenimento dell’occupazione del personale in esubero rispetto alla tipologia di classificazione
detenuta potrà essere considerata una quota di budget aggiuntiva a quella prevista dal criterio di
proporzionalità per classificazione, mediante il riconoscimento dei costi, stimati caso per caso, del
personale operante esclusivamente tra i carichi di lavoro delle singole branche. (non può essere
considerato nel budget il personale utilizzato in altre branche o in quelle non accreditate).
Compatibilmente con le risorse disponibili, su richiesta alla Regione che eventualmente ne darà
autorizzazione, chiunque potrà usufruire di quote di budget aggiuntive per favorire l’occupazione di
nuovi ulteriori lavoratori nelle proprie branche accreditate.
Con questo inedito modello si potranno ottenere diversi effetti positivi sia per l’Ente Regione, sia
per i cittadini utenti finali, sia per le strutture accreditate con il loro bagaglio occupazionale
qualificato. Così la Regione continuerà ad avere capillarmente su tutto il variegato territorio e
senza aggravi di spese il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza con prestazioni sempre
più di qualità, senza sforamenti e costosi contenziosi.
Le strutture ora accreditate provengono da una lunga serie di peregrinazioni normative che
partendo dalle convenzioni con gli ex enti mutualistici sono passate alla legge 833 del 1978
istitutiva del SSN che ha offerto indistintamente a tutti i cittadini l’assistenza sanitaria, alla legge
regionale n°9 del 1984 che ha segnato una notevole svolta nella vita organizzativa degli allora
“convenzionati” imponendo rigorosi criteri di standard di qualità già allora con le dotazioni strutturali
tecnologiche e di personale come dai requisiti minimi previsti nel decreto “Craxi”.
In seguito si è passati dalle convenzioni, che non prevedevano rinnovi contrattuali, agli
accreditamenti, suscettibili di contrattazione annuale per l’assegnazione di budget di spesa,
nonché di verifica triennale del mantenimento dei requisiti minimi per l’accreditamento. E mentre le
strutture sanitarie private si sono sempre tempestivamente adeguate ai requisiti imposti dalla
legge, la stessa cosa tuttora non è evidenziabile in buona parte delle strutture pubbliche che,
peraltro, non possono certamente dirsi depauperate dall’attività dei privati poiché questi, negli
ultimi trent’anni, hanno spesso contribuito con la loro presenza ed il loro sforzo economico ed
organizzativo a sostenere l’esigenza di sanità capillarmente su tutto il territorio regionale, a costi
bassi e sostanzialmente imparagonabili con quelli del settore pubblico, subendo continue riduzioni
di budget e di tariffe come se il caro vita non toccasse anche loro.
Infine, bisogna sgombrare il campo dalla solita strumentale ed improduttiva diatriba se è meglio
potenziare il pubblico o il privato poiché è utile che sia l’uno che l’altro diano il proprio contributo a
fornire assistenza sanitaria secondo criteri di qualità, tempismo ed economicità adeguata ai reali
bisogni della popolazione di riferimento, senza sottostime della domanda e con la presenza
capillare sul territorio in un’ottica di sana e libera concorrenza. Perché questo certamente è tra i
migliori sistemi per elevare la qualità delle prestazioni sanitarie offerte e per generare un
meccanismo virtuoso che possa favorire la riduzione dell’emigrazione sanitaria in altre Regioni ben
più costosa di una ottimale ma realistica valutazione della stima dei bisogni della popolazione.
Non si può continuare a dire che viene fornita l’assistenza a tutti se poi realmente non vengono
stanziate le somme necessarie e proporzionate per farlo davvero.
Il nostro auspicio come associazione di categoria è che la dirigenza regionale rifletta su quanto
detto senza intravedere alcuno scopo polemico, ma solo un leale spirito di impegno principalmente
nei confronti dei cittadini che sentono il bisogno di una sanità moderna, gestita in modo
trasparente, all’insegna della tecnologia, della rapidità e dell’utilizzo di tutto il know how maturato
dai numerosi professionisti pubblici e privati presenti ed operanti in Calabria.
E per restare in tema di rapporti trasparenti, è il caso di evidenziare che l’ASSIPA attende ancora
di sapere dall’Asp 5 quando procederà con le convocazioni formali per la stipula del contratto
2011, come da richiesta inviata per e-mail il 25-07-2011 alla direzione generale, nonché chiarire i
criteri utilizzati per la determinazione e assegnazione dei singoli budget alle strutture e rendere noti
i budget stessi formalmente fin qui assegnati e/o assegnandi alle varie strutture per il 2011.
Richieste tutte contenute nella predetta mail inviata per conoscenza anche ai vertici regionali ed ai
presidenti delle altre associazioni di categoria, alla quale non è stata data alcuna risposta.
Ci auguriamo inoltre che a partire dai prossimi incontri per il tavolo tecnico sullo studio delle tariffe
definitive – il I° è previsto per giorno 8 settembre – si comprenda la necessità di individuare quelle
che garantiscano giusta e congrua proporzione tra i reali costi di produzione delle prestazioni ed il
necessario margine di guadagno, a partire dalle tariffe riguardanti i tanti laboratori di base che con
la loro presenza, spesso in aree disagiate del territorio, potranno continuare a fornire un servizio di
base che non vada a pesare sulle tasche dei cittadini o dei laboratoristi stessi.
Locri, 02-09-2011
ASSIPA
Associazione Strutture Sanitarie
Istituti Privati ed Accreditati
Il Presidente
Dr. Francesco Galasso